Il soccombente

Erano giorni
(Oh, se tu ricordassi!)
di giovinezza
sfacciata
erano coriandoli
di morsi e baci
qui, qui e ancora qui
al tramonto
nuvole discrete
nascondevano
bocche assetate
Ti chiamavo (ricordi?)
mio bel saraceno dalla testa fiera
tu scrollavi il capo
divertito
nel cielo
un tripudio di stelle
a farti da corona
 
Erano giorni
(Oh, se tu ricordassi!)
in cui
la luce rubava le ore
svelava
sfacciata
i corpi
tu sopra con i tuoi capelli ricci scarmigliati, io sotto
a guardare
nei tuoi occhi
l’incendio
(dentro, io, una preda)
e le bocche assetate (ricordi?)
a fumare vapori di stelle
e le mani qui, qui e ancora qui, (ricordi?)
pregavano di non fermare
la magia delle dita
 
Erano giorni di risate
in punta di labbra si acchiappava
la luna
ti dicevo, Mio bel saraceno
e tu scrollavi il capo
divertito
il tuo fiato gentile
contro la mia carne
un tripudio di stelle
a farti da corona
 
E adesso che il tempo
a nostra insaputa
è trascorso
che ne è stato di te
mio bel saraceno dalla testa fiera?
(Oh, ti vedessi, il capo reclinato, gli occhi di vetro,
macchie di un verde spurio)
che ne è stato dei nostri Mai, Sempre Qui e qui e
Ancora qui?
 
Nel tuo sguardo la fatica
di una vita incolore
che mai avremmo voluto
dopo aver toccato
la luna
con labbra assetate
 
Vorrei poter
(Oh, se si potesse!)
riposare ancora
nei tuoi occhi
pozze d’ombra
sollievo ai miei fallimenti
risposte
pacate
alle mie pene
 
ma il tempo
è ingeneroso
e ora la notte,
la tua schiena rimane chiusa a me
come un’ostrica.
(io sono lacerata, straziata, sanguino)
 
E ancora
non riesco a capire
se tu sia stato un clown
sballottato dal destino
o un lupo solitario
il muso levato
alla luna
a ulularle contro.
 
– Il soccombente – Cynthia Collu _
*dipinto di Toulouse Lautrec –
(Albi) Rousse (La Toilette) – 1899 – Henri de Toulouse-Lautrec – Musée d’Orsay, Paris

CARTA CRUDA

Essere libro aperto

carta cruda al mio io zingaro

pensare i singulti

i sussurri

le grida

le risa

i perché

i mai più

e poi marchiarli

a sangue

affinché un giorno lontano

qualcuno leggendo possa dire

“È vero. È così.”

HO VISSUTO – Cynthia Collu

L’AMORE ALTROVE


Il mio terzo romanzo, L’amore altrove, racconta della sofferenza di un’innocenza violata nel chiuso delle mura domestiche. Racconta il sentirsi “sporca” di una bambina in quanto sporcata, e della difficoltà a parlarne. Racconta la storia di tre solitudini, e della possibilità di un riscatto.
Visto l’argomento, ho cercato di usare nelle descrizioni la delicatezza dovuta. Il rimando dei lettori, che me l’hanno riconosciuta, è stato per me motivo di gratificazione.Di seguito un brano dove Licia, la protagonista diciassettenne, racconto l’abuso come se lo avesse sognato.

L’amore altrove è stato tra i candidati al Premio Strega 2020 e ha vinto il Premio Navicella 2020, dato in Sardegna ad altri illustri colleghi come Salvatore Niffoi, Marcello Fois, Michela Murgia.
Buona lettura!Ieri notte il sogno è tornato. Era da qualche mese che mi lasciava in pace. Speravo finalmente d’averlo messo nel dimenticatoio; l’avevo deposto ai piedi della sofferenza, lasciandoglielo in custodia. Non so perché oggi ho deciso di riprendermelo.
Nel sogno papà è davanti a me. Gli ho appena detto di lasciarmi in pace, che oggi non voglio, e lui ha preso la pistola.
Prima però ha riso. Uh, la principessa si ribella. Ha tirato fuori dalla tasca una chiave ed è andato allo scrittoio. Ha abbassato l’anta e con la chiave ha aperto il cassettino. È tornato verso di me tenendo la pistola per il calcio.
È una beretta del 1936, un pezzo raro, ha detto. Vedi? Ha persino incisa la data in numeri romani. Eh, prima apparteneva a un pezzo grosso del fascio, poi è passata a un americano, poi a uno del paese, non ti dico quanto ho dovuto penare per averla! Vedi? È piccola e maneggevole ed è facile da nascondere. Eh, la Beretta è un orgoglio per l’Italia, noi italiani le cose le sappiamo fare bene, che credi! A caccia c’era chi mi aveva offerto un sacco di soldi per vendergliela, ma io niente, me la portavo in bisaccia e mi divertivo a farli crepare d’invidia! Al massimo gliela facevo provare. Senti com’è leggera.
Parla, parla, parla. Io guardo la pistola.
La tiene sul palmo aperto, la tende verso di me. Vedo confusamente la scritta in numeri romani sul carrello, e poi il punto rosso. È da pochi mesi che sono mestruata, e il dolore che sento adesso è identico.
Uh, mi sono dimenticato di togliere la sicura, dice lui con un sorriso storto. Vedi? È questa che blocca il grilletto. Il suo sorriso storto continua mentre sposta la leva e mi tende nuovamente la pistola.
Adesso può sparare, aggiunge. La voce è allegra.
Vuoi provarla? Coraggio!
Rimango in silenzio. Guardo i numeri e cerco di tradurli in cifre arabe per distogliere il pensiero dal punto rosso che fa male nella pancia.
Non vuoi? No? Va bene, come preferisci, dice allora lui.
Va nuovamente allo scrittoio e ripone la pistola nel cassetto. Torna verso di me. Lo sai che ti voglio bene, dice. Voglio solo farti felice, dice. Vuoi che ti faccia felice, vero, piccola mia?
Non rispondo.
Levati le mutandine, dice ancora con voce dolce.
Gli obbedisco. Mi chino mentre il cuore mi batte in petto sino a farmi male, mi sfilo le mutande. Le guardo scivolare a terra e rimanerci, passive.
Siediti sul tavolo, dice ancora.
Mi siedo, tengo le gambe strette ma la gonna di jeans mi sale ugualmente sulle cosce. Me l’ha comprata mamma per i miei dodici anni, due settimane fa. Ci avevo fatto una malattia, per questa gonna, e ora mi sembra terribilmente corta.
Mi accarezza una coscia.
Allarga le gambe, dice.
Le apro appena. Con un gesto deciso me le spalanca e la gonna si solleva sino all’inguine. La prende dall’orlo e me l’arrotola con calma sulla pancia. Me l’accarezza.
Come sei morbida, dice. Pelle di seta. Sei la mia bambina adorata. Voglio solo farti felice, dice ancora.
Mi mordo le labbra e guardo oltre le sue spalle. Sulla mensola a muro ci sono dei libri di mamma e una fotografia che la ritrae con me e Giada da piccole. La foto è grande, rettangolare, messa per lungo, la cornice è d’argento. Mi sembra di farci caso per la prima volta.
Mamma sorride al fotografo. Mi tiene una mano sul capo, come se volesse benedirmi. La foto è a colori, i suoi capelli biondi sono legati e finiscono in uno chignon alto che pare un topolino sparuto, gli occhi sono macchie azzurre nella faccia pallidissima e l’altra mano è sul grembo, stretta a pugno, proprio contro la pancia. Giada deve avere qualche settimana perché il suo viso è piccolo come il pugno di mamma e sparisce sotto la spuma bianca della copertina di pizzo. Io sono accanto a mia sorella, ma non la guardo. Devo avere circa cinque anni. Ho l’espressione seria nonostante il visetto sia paffuto e incorniciato da capelli lunghi, legati in due buffi codini. Sono infagottata in una camicetta con le maniche a sbuffo e il colletto di pizzo. Non guardo neanche mamma. Sto fissando qualcosa o qualcuno davanti a me. Forse guardo me stessa e i miei occhi sbarrati che fissano la foto. Forse vedono anche la schiena di papà davanti a me che si muove. D’un tratto la Licia seduta sul tavolo lancia un grido.
La schiena dell’uomo sussulta, si stacca da lei. Piccola, le sussurra, faccio questo perché ti voglio bene. Adesso provi un po’ di male ma poi vedrai com’è bello.
La schiena riprende a muoversi e la Licia seduta sul tavolo scoppia in lacrime.
Papà! Fa male! grida.
L’uomo usa un tono tenero, dice che il male passerà subito e che dopo le piacerà tantissimo. Dice altre cose che la Licia della foto non vuole sentire e così guarda la mamma. Ma la mamma sorride in maniera stolida e tiene la mano sul suo capo e stringe il pugno sulla pancia. Allora la bambina guarda Giada, si perde a contemplare la copertina di pizzo che l’avvolge come un baco da seta e il bavaglino col nome sopra ricamato, il ricamo è fatto col filo bianco e sul bavaglino dello stesso colore si nota appena, così la bambina della foto si ingegna a individuare le lettere, G come gioia, I come innocenza, A come amore, D come dono, e A… come amore l’ha già detto.
E A?
Un altro grido.
Questa volta la bambina della foto è costretta a guardare. La ragazza seduta piange disperata, e l’uomo si è staccato da lei. Sshh, sshh, implora. Non urlare, non lo faccio più!
Si gira e si guarda attorno, caso mai qualcuno fosse entrato a causa dell’urlo, così la bambina della foto lo può guardare bene in faccia.
Ha le pupille piccole, lo sguardo spiritato. Sshh… non gridare, dice ancora.
Io lo fisso con tutta la rabbia che ho, ma lui distoglie lo sguardo, si rivolge ancora alla ragazza che ora sembra cercare un aiuto qualsiasi nella stanza. Lo trova nella mia immagine.
L’uomo cerca di rassicurarla, sorride. Proviamo ancora una volta, tesoro, dice. Di nuovo la sua schiena. Questa volta la ragazza urla con tutto il fiato che ha in gola. Lui si spaventa, si volta verso di me, gli occhi neri bruciano di febbre, suda.
Zitta! Non lo faccio più. Non gridare, però. Altrimenti…
Indica lo scrittoio. La sua espressione di animale in trappola mi terrorizza più di quella di prima. Guardo ancora mamma, è massiccia e corpulenta, ma c’è qualcosa in lei che la rende fragile come vetro; gli occhi svagati fissano il fotografo o forse fissano solo i propri fragili pensieri. Guardo ancora la me stessa diventata grande. Questa sono io, penso.
Non lo faccio più, sta ripetendo l’uomo. Stai buona.
La ragazza storce gli occhi, storce la testa, si vede che ha voglia di urlare ma si trattiene. Vorrei incoraggiarla in qualche modo, ma lei non mi guarda più. Piega la testa per dirgli di sì, che starà buona. Lui tira di nuovo le labbra per un sorriso storto.
Peccato, dice, ti sarebbe piaciuto tanto.
Le prende una mano e la guida.
La ragazza guarda da un’altra parte, di nuovo mi vede, di nuovo spalanca gli occhi e assorbe i miei.
Ora basta, le dico. Svegliati, le dico. Ora basta, svegliati, svegliati!
Mi sveglio. Guardo subito la porta, come sempre dopo questo sogno. Cerco a tastoni la mia Barbie nel buio. È quella con il vestito da sposa, la mia preferita. Non l’ho mai voluta gettare.
Da piccola dormivo sempre con lei stretta al petto. La tenevo come scudo contro l’orco che nel buio veniva a mangiarmi. Me la portavo nel mio letto, la spogliavo, le mettevo il pigiama, la pettinavo e la rassicuravo. Vedrai, le dicevo, stanotte ci lascerà in pace.
Ogni notte dormivo aspettandomi di sentire una mano che mi scuoteva. Non accadeva spesso, però succedeva, e così non sapevo mai quando potevo rilassarmi e dormire tranquilla.
La mattina, appena mi alzavo, le rimettevo il solito vestitino e la buttavo in fondo alla cesta dei miei peluche.

La odiavo.

Cynthia Collu, scrittrice, ha pubblicato “Una bambina sbagliata”, Mondadori (Premio Berto Opera Prima 2009), “Sono io che l’ho voluto”, Mondadori, (Premio Speciale della Critica 2018 concorso Pegasus e vincitore del premio 2018 Essere Donna oggi), L’amore altrove con DeAPlaneta editore (candidato allo Strega 2020 e vincitore del Premio La Navicella 2020), “La Guerra di beba” con Senzapatria editore, e diversi racconti in antologie. 

E IL SUO ULTIMO LIBRO QUI

https://www.deaplanetalibri.it/libri/l-amore-altrove

#oggiviraccontouna storia

Se questo è un uovo (anc’hio c’ho i miei spigoli)

Alcuni lettori mi hanno chiesto chi sia questo fantomatico “Se questo è un uovo (anch’io c’ho i miei spigoli) che ho ringraziato nel mio ultimo romanzo, “l’amore altrove” e pure in quello precedente, “Sono io che l’ho voluto”. Sono lieta di rispondere a questa domanda, ma prima vi devo raccontare una storia.

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 C’era una volta una gallina, o meglio, c’era una volta un cascinale sperduto nella campagna lombarda dove, ovviamente, razzolava felice questa gallina. Per arrivare al cascinale bisogna percorrere strade di campagna (adeguatamente strette e piene di curve); la segnaletica per il casolare appare senza preavviso alcuno sulla destra, posizionata davanti a un fossato pieno d’acqua attraversato da un misero ponticello: unico modo per arrivare alla fattoria.

La prima volta vedo il segnale all’ultimo momento e inchiodo, curvo a destra pregando di centrare lo striminzito ponticello per non finire nel fossato, (la volta successiva vedrò a mollo la macchina dei vigili) e, per centrarlo, mi allargo tutta a sinistra rischiando che  venga a salutarmi, sul sedile a fianco, l’automobilista che per tutto il percorso mi è stato col fiato sul collo (la volta successiva metterò i lampeggianti almeno venti metri prima di svoltare).

Vi chiederete: che c’entra tutto questo con la gallina? Sappiate dunque che in quel cascinale le mucche pascolano libere, il latte è ottimo, i formaggi pure, le verdure sono senza diserbanti e le galline razzolano a loro piacimento, facendo uova deliziose.

Ed ecco il punto. Le uova. A me piacciono le uova, mi piace anche berle fresche e magari farci lo zabaione così come me lo faceva mia nonna che ci metteva dentro anche il caffè, e vi assicuro che fatto in questo modo è una festa per il palato, e poi a me piace assaporare cibi che mi ricordino l’infanzia così imito Proust con le sue madeleine, insomma, per comprare queste uova deposte da galline libere e felici, mi facevo ogni volta le stradine di campagna debitamente strette e piene di curve.

Un giorno, tornando a casa, ho notato una cosa strana: nella confezione appena comprata c’era un alieno: un uovo pieno di spigoli!

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Non credevo ai miei occhi. L’uovo, si sa, è famoso per essere liscio, invece quello era attraversato da rilievi che una cartina delle Alpi manco se li sogna! Ho pensato a un caso. Ho pensato che fosse un uovo nato male. Un uovo malato. Una fattura fattami dal solito automobilista che ogni volta mi tallona col fiato sul collo. Allora l’ho scartato (l’uovo).

La volta successiva, rientrata dal cascinale, ho aperto sovrappensiero la confezione: ma ecco, incredibile: c’era di nuovo un uovo con gli spigoli (mi si perdoni la rima).

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La terza volta è successo ancora. E poi ancora. Decisamente la cosa diventava inquietante.

Così, quando la quinta volta sono andata al cascinale a fare compere ho raccontato tutto al ragazzo dietro al bancone dei prodotti bucolici. Lui aveva i ricci scomposti, la barba lunga di tre giorni e gli occhi stanchi. Begli occhi, devo dire. Non mi sono fatta intenerire e ho protestato per la vendita dell’uovo alieno. Lui è scoppiato inaspettatamente a ridere. Si vede che la meschina – dice riferendosi alla pollastra – c’ha il buco del c…  rigato, e ogni volta che lo depone ci lascia sopra l’impronta! E ha aggiunto, Chissà che male, povera, dovresti esserle grata per tutta la sofferenza che patisce nello scodellarti quell’uovo, pensa ai suoi coccodè strazianti e dai retta a me, mangiatelo senza problemi!

Vederlo ridere mi ha fatto bene al cuore. Così gli ho comprato altre uova, gli ho sorriso, mi ha sorriso, e sono tornata a casa contenta. In cucina ho messo la confezione sul tavolo e l’ho aperta col cuore che batteva; temevo una delusione e invece c’era! Il mio uovo spigoloso c’era! Così, un po’ in ricordo del bel sorriso del (bel) ragazzo e un po’ per ringraziare la gallina che tanto pativa nello scodellarmi il suo uovo, ho deciso di assumere, in un social di lettori in cui ero molto attiva, un nuovo nick . Invece di Cynthia Collu, mi sono firmata “Se questo è un uovo (anch’io c’ho i miei spigoli).

Purtroppo nel tempo questo social ha cambiato rotta e a poco a poco mi ci sono allontanata. Ma tuttora mi identifico in quel nick particolare a cui sempre rivolgo il mio grazie per averci sempre ostinatamente creduto (nella pubblicazione dei romanzi) e così torno a quel ricordo lontano, alla campagna con le stradine adeguatamente strette, e alla gallina, dal c…  problematico.  Spero davvero che sia ancora viva e stia lanciando il suo ennessimo porc…ddé!

Cynthia Collu, scrittrice, ha pubblicato “Una bambina sbagliata”, Mondadori, vincitore del Premio Berto Opera prima; “Sono io che l’ho voluto”, Mondadori; L’amore altrove, DeA Planeta editore;”La Guerra di beba”, Senzapatria editore, e diversi racconti in antologie.  Trovate il suo ultimo libro qui:

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L’amore altrove

Oggi ho ricevuto un regalo doppio: una recensione su Tuttolibri, l’inserto del giornale, e La Stampa su Il Sole 24 ore, recensione di cui vi metto il link.
Considero essere letta un dono. Ricevere un commento, rende questo dono indimenticabile.

“In questo romanzo, L’amore altrove, la scrittura è strumento, potente, di una trama che punta a snodare la dimensione malata dei legami di sangue. Un romanzo sentimentale nel senso della potenza dell’emotività che riesce a trasferire la crudezza persino delle immagini più violente senza perdersi o slabbrarsi. Un esempio? «Sai che una volta papà mi diceva che mi amava da morire? Adesso per fortuna non lo dice più. Mi metteva a disagio quando faceva quella faccia da stupido mentre lo diceva». Ecco come Giada racconta a Licia la violenza del padre.
Il Sole 24 ore

“Si apprezza il lavoro artistico, lo sforzo scrittoriale e tecnico dell’autrice che costruisce un testo di struttura complessa, il cui piano narrativo principale che parte dalla giornata-guida del tempo presente. [..]
Si apprezzano i cambi di punto di vista, di io narrante, di tono di voce e la lingua che rimane funzionale, sicura. [..]
Si apprezzano, infine, la libertà, il realismo, la verosimiglianza con cui si raccontano desiderio e piacere nelle scene di sesso, caratteristiche tanto benvenute quanto inattese in questa diffusa tipologia di romanzo, dove il sesso è invece per solito nascosto dietro una goffa “letterarietà”.
Tuttolibri, La Stampa.

https://www.ilsole24ore.com/…/l-amore-altrove-salvarsi-dall…

https://www.eprice.it/Letteratura-Italiana-DeA-P…/d-57395273

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Cynthia Collu, scrittrice, ha pubblicato “Una bambina sbagliata”, Mondadori, vincitore del Premio Berto Opera prima; “Sono io che l’ho voluto”, Mondadori; L’amore altrove, DeA Planeta editore;”La Guerra di beba”, Senzapatria editore, e diversi racconti in antologie.  Trovate il suo ultimo libro qui:

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PIETAS

Una volta mio marito ha comprato un microscopio stereo.
Ci ho messo sotto un dito e ho visto, proprio alla base dell’unghia, il gran canyon scarlatto di una minuscola ferita. Le pellicine erano fianchi rugosi di montagne, le linee sulla cute profondi torrenti asciutti. Bello! ho detto.
Poi ho visto un’immensa scultura di ghiaccio – un granello di sale, poi la gomena liscia di una nave – un mio capello, strappato senza lamenti.
Poi decine di altre cose, e infine mi sono stufata e ho messo via il microscopio.

Una volta la mia cucina era invasa dalle formiche.
Erano salite sui fornelli e si erano infilate dappertutto, nel pane, nei biscotti, persino nelle bustine di the.
Ho guardato bene e ho visto un buco nell’angolo del muro. Da quel buco usciva una processione di formiche. Allora ho preso dell’alcool e l’ho versato sulla fila, poi ho dato fuoco.
Pensavo di essermene liberata, e invece loro sono tornate.
Allora ho comprato una trappola chimica, l’ho messa vicina al buco. Dopo qualche settimana il pavimento era cosparso di punti neri.
Mi è venuto in mente che non avevo mai visto una formica al microscopio, allora l’ho messa sul piattino e ho acceso i riflettori.
La formica era ancora viva. Muoveva adagio le zampe cercando di afferrarsi a qualcosa.
Morirà presto, ho detto.
Sono tornata a guardare dopo un’ora. Era ancora viva, agitava le sue stupide zampe. La sera agonizzava ancora.
Muori, ti prego, muori, ho detto.
Ho passato la notte pensando alle sue inutili zampe.
Il giorno dopo le muoveva ancora. Allora l’ho schiacciata con un dito e ho messo via il microscopio.
Poi ho preso dello zucchero e l’ho messo vicino al buco nel muro.

D’allora lo metto ogni giorno. Le formiche ci vanno sopra, io le guardo afferrare macigni cristallini in miniatura e trasportarli via.

Sto sempre attenta che il mucchietto di zucchero non finisca.

_ Pietas – Cynthia Collu

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L’amore altrove, il mio nuovo romanzo

Mi è arrivato un messaggio, e assieme al messaggio la foto del mio libro appena stampato. Confesso, ho pianto come una scema.
Mi è successo solo in un’altra occasione, ed è stato quando hanno pubblicato un mio racconto su “Vivimilano”, per un concorso del Corriere della Sera.
Il giorno dell’uscita ho comprato il giornale, ma non l’ho aperto subito. Mi sono messa in un angolo del parco dietro casa, nascosta da un cespuglio. Ho aperto l’inserto. Tra i racconti selezionati c’era anche il mio.
Era la prima volta che vedevo il mio nome stampato. Il pianto è stato irrefrenabile.

Ci sono state nel mio percorso di scrittrice altre pubblicazioni, molti racconti, due romanzi importanti, c’è stata gioia, sì, tanta emozione, anche, ma non le lacrime. Non pensavo di averne ancora necessità.

Invece erano lì, in attesa. E ancora adesso, mentre scrivo, fatico a trattenerle. È un pianto liberatorio per la nascita di un lavoro in cui ho fortemente creduto, che ho ostinatamente amato nonostante tanti se e tanti ma. Un lavoro a cui tengo più degli altri. C’è sempre un figlio prediletto, anche se il genitore non lo confesserà mai. Questo è il mio figlio prediletto. Il suo arrivo è il ritorno da tanto tempo atteso.
Il mio cuore è in festa. Volevo condividere con voi questa mia gioia.
Il 15 ottobre, se vorrete, mi troverete in libreria.

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Una Lolita mediorientale

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C’era una foto che mi piaceva più delle altre: una donna su una macchinina da golf con la camicetta aperta. Rideva e si divertiva e non sembrava che si rendesse conto di essere in un campo da golf dove tutti le vedevano le tette. Cercavo di immaginarmi come mi sarei sentita io al suo posto. In mezzo a tanta gente, con la camicetta aperta mentre un uomo mi faceva le fotografie. Se sarei riuscita a sorridere in una situazione del genere. Più immaginavo, più stringevo le gambe. Sapevo che facevo un gran rumore sulla sedia di vimini, ma non mi potevo fermare. Era come se stessi rincorrendo qualcosa. Come se continuando a stringere arrivasse una sensazione ancora più bella dello stringere soltanto. Non so come lo sapevo, ma è arrivata. Era un orgasmo.”
_ Alicia Eriab – Beduina _ Adelphi editore

Un mio rapido commento.
Mi è piaciuto questo lungo romanzo dove la protagonista, una sperduta ragazzina tredicenne, cerca di rendersi visibile cercando (e subendo) approcci sessuali.
Un personaggio a mio avviso molto lontano da Lolita, nonostante l’età e l’apparente disinvoltura con cui Jasira cerca di farsi toccare dagli uomini, convinta com’è che gli orgasmi siano l’unica cosa che possono farla star bene.
Una madre stronza, che dallo stato di New York la spedisce dal padre, in Texas, accusandola di andare sempre in giro “con le tette dritte in fuori.” solo perché è gelosa che il suo amante sia amico della bambina. Un padre altrettanto stronzo, conservatore e padre padrone, che le proibisce qualsiasi cosa sappia lontanamente di sesso, come i tampax (le comprerà degli assorbenti a poco prezzo). Un vicino che abuserà di lei, e della sua voglia di essere amata e, in definitiva, della sua incredibile ingenuità.
Cerca solo qualcuno che la ami, Jasira, e troverà affetto e comprensione in una coppia di vicini.
Un romanzo che non è un capolavoro, ma che si legge veloce e (per quanto mi riguarda) con empatia verso la ragazzina.
Alcune cose stridono: la coppia di vicini tanto buoni da prenderla non solo sotto la loro ala protettrice impedendo al padre di avvicinarla, ma che le regalano persino libri sul sesso in modo che sia informata, la fanno stare in camera da sola col suo ragazzino, ecc. Insomma, dei paladini che fatico a considerare credibili. Inoltre mi fa un po’ specie la facilità con cui Jasira raggiunge l’orgasmo solo stringendo le gambe o facendosi titillare i capezzoli.
Beh, che dire, meglio per lei.
Comunque un buon romanzo, scritto bene, efficace e diretto. Lo consiglio.

 

 

E l’amore guardò il tempo e rise

Ritrovo una lettera d’amore di quand’ero ragazza. Me l’hai scritta tu. La rileggo e mi commuovo per i nostri sogni giovani, che adesso hanno lasciato il posto agli affanni, alle preoccupazioni della vita reale. E alle delusioni.
Mi chiedo dove sei ora. Se ti ricordi qualche volta di me e del sogno di viaggiare insieme su una Harley Davidson, il sacco a pelo sulle spalle e il sorriso sulle labbra.
Che ne è divenuto di te? Che ne è stato delle tue parole?
Stasera qualcosa mi manca, e non sei tu, ma l’io che ero una volta, con il miraggio di vita da realizzare. Insieme, all’avventura.

Non sono affatto lontano, per tutto il giorno non sono riuscito a non pensarti. In questi giorni ho un gran bisogno di vederti e ho molto bisogno di te (forse non dovrei dirtelo). Accidenti, faccio fatica a scrivere, vorrei averti qui di fronte, seduta a gambe incrociate con gli occhi che si perdono nei miei e viceversa.
Ieri, quando ti ho abbracciata e dicevo di essere tranquillo, ho sentito quel NOI in modo incredibile, ho sentito io uomo tu donna in un incastro infinito asessuale. Non fraintendermi, ti desidero ma ieri è stato diverso. Voglio amarti nel modo più puro più disinteressato, ma qualcosa dentro mi spinge a volerti rapire, a incorporati.
Devi raccontarmi delle tue ferite per liberare finalmente la mente.
Sai continuo pensare a noi due su una Harley Davidson che viaggiamo per il mondo, con i sacchi a pelo in spalla e sulle labbra un sorriso.
La scorsa notte mi sono addormentato con l’immagine di noi due su una H.D., corriamo su un’autostrada cantiamo e tu mi stringi e ridi e io grido Wow a tutte le macchine.

Wow questo è molto bello.
Ti amo e mi domando perché non me l’hai detto prima. Ho bisogno di sentirti vicina, di proteggerti e di ascoltare le cose che sai e che devi dirmi. Mi rendo conto che è toglierti la tua libertà, mia adorabile selvatico essere, ma ora sento questo.
Alcune volte penso di stare volando poi mi dico cacchio siamo veramente fra le nuvole per questo mi sembra irreale.
Di una cosa ti prego, non idealizzarmi, sono molto semplice, ho tanti difetti, paranoia, egoismo, feticismo e amore opprimente. Ti amo accidenti non riesco a capire quanto, deve essere infinito.
Wow sono felice perché mi rendi felice, perché esisti, perché noi siamo figli della terra, voglio parlarti dell’intuizione panteista che sto avendo in questo periodo.
Siamo Wow e stiamo sprecando la vita chiusi nella gabbia.
Mi viene in mente un film “E per tetto un cielo di stelle”. Vuoi essere la donna di un vagabondo? Forse non creerò mai niente di duraturo, ma vivere per sentirsi vivi mi basta.
Sento di amare la natura, tu sei la natura noi siamo alla natura, wow, sto salendo. Il sole ha squarciato le nuvole si riflette caldo di luce sui palazzi e schiarisce l’ombra del mio balcone.
Perché non viviamo insieme? Lo so, sto uscendo troppo dalla realtà ma lo desidero infinitamente.
Essere bisogna essere (non per gli altri ma per noi per l’universo, Wow).
Parigi Londra Istanbul San Francisco Rio de Janeiro, ma anche il Deserto dei Gobi, le montagne e i santoni del Tibet, l’Amazzonia le calde Piramidi dell’Egitto Wow bisogna vivere e questa è la vita più intensa e completa che si può fare. Dimenticavo l’Australia coi suoi canguri e le Seychelles con i frutti afrodisiaci.
Ti amo Wow sto per impazzire In questo miraggio di vita, dobbiamo realizzarlo, dobbiamo, mi vien da piangere per la gioia o sa il diavolo, ma ho paura che tutto possa finire, non so se saprei reggere ma non importa.
Ciao Cynthia

*foto tratta dal film “Easy rider”

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Giulio che sai di biscotto

21 settembre 1992
Mi chiede un paio d’occhiali da sole.
Da sole?”
Non capivo a che potessero servirgli in ospedale.
“Mi vergogno. Quando vengono a trovarmi i miei amici non voglio che mi guardino negli occhi e si sentano a disagio.“
Mi sorride col suo sorriso buono, un po’ ironico.
“Penserebbero che sono spacciato”, aggiunge.
Che dici Giulio, fratello sempre in festa.
Tace per un po’, poi aggiunge: “Vorrei che dopo la mia morte qualcuno facesse un poster con le foto dei momenti e delle persone più importanti della mia vita.”
Faccio cenno di sì. Lo farò, fratello.
Invece non ci sono riuscita. Quello che ho saputo fare, è stato scrivere un romanzo dove ho parlato di te. Di com’eri gentile, e attento, e buono. Ho fatto di te un personaggio di carta. Non ti ho reso giustizia, tu eri molto di più.
Ma so che, ovunque tu sia, mi stai approvando e mi sorridi col sorriso di sempre. Fratello sempre in festa.
*
Giulio sembra un biscotto che si scioglie in bocca. Mi guarda dalla fotografia in bianco e nero col sorriso di sempre, grande e aperto sul mondo. Avrà circa un anno, un anno e mezzo.
Sta ritto sulle cosce piene che sembrano di burro e ride, le guance morbide e paffute, le lucine negli occhi. E’ il ritratto della felicità, è uno di quei piccoli che le donne, anche quelle che non amano i bambini, si girano a guardare con un sorriso. A volte delle signore si fermano, dicono a mamma: “Com’è bello suo figlio”, ed è una scusa per dargli una carezza. A sentire la sua pelle sotto le dita viene voglia di strizzarlo come fosse di gommapiuma. Io sono accanto a mamma, sorveglio la carrozzina, sono fiera di lui.
Dalla foto Giulio mi sorride. Indossa un completino di maglia – azzurro, mi sembra di ricordare – fatto da zia Amelia, con il maglioncino aperto davanti e i pantaloni corti; tiene con la mano sinistra una borsa sarda fatta a sacco, di quelle tessute al telaio. Sulla borsa, in rilievo, delle pavoncelle.
Capisco quelle donne, perché anch’io provo la stessa voglia di mordermelo tutto.
Lui sorride come stesse partecipando alla sua festa.
Giulio che sai di biscotto.

[..]

*
Al rientro dalla colonia sono seduta sul tram, da sola. Mamma mi ha fatto sapere che non può venirmi a prendere, ha detto alle educatrici di mettermi sul tram numero sei, che mi avrebbe portata dritto a casa mia, venti minuti ed ero arrivata.
Ecco la mia fermata: scendo e corro dall’altro lato della strada, quello è un punto pericoloso, le macchine sfrecciano veloci e non c’è marciapiedi.
Passo davanti ai carrozzoni degli zingari, hanno agganciato delle corde tra una roulotte e l’altra e sopra ci hanno appeso mille stracci colorati che nella brezza estiva ingrossano e smagriscono.
Ed ecco che la vedo: mi sta venendo incontro, sorride, tiene per mano Giulio. Ha i capelli sciolti, appena tenuti sopra le orecchie da due pettinini. E’ ancora lontana, ma vedo che m’indica a mio fratello. Lui mi guarda e s’illumina, prende ad arrancare veloce, sorride, sbava, mi guarda ancora con una felicità negli occhi che.
Che.
Sorride, sbava, tracolla incerto, e intanto mi guarda con una felicità negli occhi che
Nessuno mi ha più guardata, in tutta la mia vita, mai
La stessa felicità nel vedermi
Come quel giorno d’estate
Nessuno me l’ha più regalata
Giulio che sapevi di biscotto.

(A mio fratello, con inestinguibile amore).
* Brani tratti dal mio romanzo “Una bambina sbagliata”, Mondadori 2009

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